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lunedì 29 dicembre 2014

Armi e sistemi bellici, Italia primo fornitore Ue di Israele. Rete Disarmo: “La smetta”

Radar, aerei ed esercitazioni in Sardegna. Ecco la partnership militare Italia-Israele

Secondo un documento della Difesa, gli F-15 e gli F-16 dell'Israeli Air Force sono attesi al poligono di Capo Frasca (Oristano): sganceranno bombe inerti da una tonnellata. La cooperazione militare tra Roma e Gerusalemme comprende la fornitura di sensori radar "Gabbiano", prodotti dalla Selex Galilelo e montati sui droni, e i cannoni navali da 76mm prodotti dalla Oto Melara: tutti armamenti utilizzati nella guerra a Gaza

di Enrico Piovesana | 31 luglio 2014

I cacciabombardieri israeliani voleranno presto dai cieli di Gaza a quelli della Sardegna per condurre esercitazioni di bombardamento insieme all’aviazione italiana e Nato. La notizia lanciata giorni fa dall’Unione Sarda sulla base di documenti militari ufficiali, trova conferma nelle informazioni ottenute dal IlFattoQuotidiano.it. Il “Programma esercitazioni a fuoco secondo semestre 2014″ del Reparto Sperimentale Standardizzazione al Tiro Aereo – Air Weapon Training Installation (Rssta-Awti), datato 3 marzo 2014, prevede che gli F-15 e gli F-16 dell’Israeli Air Force vengano al poligono di Capo Frasca (Oristano) a sganciare bombe inerti da una tonnellata.

Il documento non specifica le date della trasferta israeliana, ma lo Stato Maggiore della Difesa e l’Aeronautica Militare confermano la presenza programmata dell’aviazione israeliana in Sardegna per l’annuale esercitazione bilaterale “Vega” che solitamente si tiene tra ottobre e novembre con base all’aeroporto militare di Decimomannu (Cagliari), da cui dipende il campo di bombardamento di Capo Frasca.
Il ministero della Difesa, interpellato in merito, non ha rilasciato commenti. La questione è stata sollevata anche al ministero degli Esteri in un incontro tra il vice della Mogherini, Lapo Pistelli, e le associazioni pacifiste e disarmiste che chiedono al governo italiano lo stop immediato al supporto militare e alle forniture belliche a Israele, illegali per la legge italiana in quanto destinate a un Paese in guerra. Forniture che non si limitano agli ormai noti cacciabombardieri da addestramento M346 dell’Alenia Aermacchi – utilizzabili anche in “ruoli operativi” – ma che riguardano anche sistemi d’arma che già oggi vengono usati da Israele nella Striscia di Gaza.
Tra questi i potenti cannoni navali da 76 millimetri prodotti dalla Oto Melara (Finmeccania) montati sulle motocannoniere israeliane classe Sa’ar e ampiamente utilizzati in questi giorni per martellare la Striscia dal mare. Un altro esempio sono i sensori radar Gabbiano prodotti dalla Selex Galilelo (Finmeccanica), fondamentale equipaggiamento dei micidiali droni israeliani Hermes, regolarmente usati a Gaza per compiere bombardamenti missilistici – per la gioia dell’azienda produttrice Elbit, le cui azioni sono salite alle stelle dall’inizio del nuovo conflitto.
Esercitazioni aeree congiunte e forniture militari rientrano nel quadro degli accordi bilaterali di cooperazione militare stretti tra Roma e Tel Aviv nel 2005 (governo Berlusconi) e nel 2012 (governo Monti): accordi di cui in questi giorni di guerra le opposizioni, Sel e Cinquestelle, chiedono l’immediata sospensione.

Armi e sistemi bellici, Italia primo fornitore Ue di Israele. Rete Disarmo: “La smetta”

"Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano", spiega Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa: più del doppio di quanto totalizzato insieme da Germania e Francia. L'organizzazione: "Vendiamo armi a una delle parti in conflitto, come possiamo essere mediatori?". Appello dei deputati Pd: "Serve un embargo immediato"

di Giusy Baioni | 16 luglio 2014

L’Italia supera Francia e Germania messe insieme nell’export di armi verso Israele: tra i paesi dell’Ue siamo di gran lunga il primo fornitore di sistemi militari dello Stato israeliano, con un volume di vendite che è oltre il doppio di quello totalizzato da Parigi o Berlino. Anzi, da soli quasi eguagliamo Francia, Germania e Regno Unito. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Numeri eloquenti, tanto più in questi giorni di guerra. Ed è per questo che la Rete Italiana Disarmo chiede un embargo immediato sulla vendita di sistemi d’arma a Israele: lo fa con un appello al presidente del consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Federica Mogherini, che proprio ora si trova in missione in Medio Oriente. Appello a cui ieri hanno aderito alcuni deputati Pd guidati da Pippo Civati (Davide Mattiello, Luca Pastorino, Giuseppe Guerini, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori) e la senatrice democratica Lucrezia Ricchiuti. 
L’Italia – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Opal – è il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta di oltre 470 milioni di euro di autorizzazioni per l’esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) ed oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade)”. In percentuale, oltre il 41% degli armamenti regolarmente esportati dall’Europa verso Israele sono italiani. Secondo l’Osservatorio, solo negli ultimi tre anni si parla di 3,4 milioni di euro, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè 9,2 milioni di euro) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia. Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7 mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte figurano Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.
«Nel maggio 2005, durante il terzo governo Berlusconi – prosegue Beretta – l’Italia ha ratificato un “Accordo generale di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa”. Come altri accordi simili, anche quello con lo Stato di Israele definisce la cornice della cooperazione militare in diversi aspetti (misure gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e ‘peacekeeping‘), ma l’intento principale è quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana. A tale accordo ne ha fatto seguito un altro: si tratta dell’accordo firmato nel 2012 – durante il governo Monti – “per la fornitura ad Israele di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, ed all’Italia di un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra (OPTSAT -3000) e di sottosistemi di comunicazione con standard Nato per alcuni velivoli dell’AMI”.
L’ultimo esempio in ordine di tempo della nostra “collaborazione strategica” con Israele risale a pochi giorni fa: mentre era già in corso l’offensiva israeliana su Gaza, il gruppo italiano Alenia-Aermacchi (gruppoFinmeccanica) consegnava a Tel Aviv due M-346: “Sono due aerei addestratori – ci spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale di Rete Disarmo – e come tali sono stati venduti e acquistati, ma sappiamo dalle loro schede tecniche che possono essere anche configurati come bombardieri leggeri“. In Israele li hanno già soprannominati “lavi”, che significa “leone”. Sul sito ufficiale della Israeli Air Force, se ne annuncia l’arrivo salutandolo come l’inizio di “una nuova era”: “I nuovi aerei porteranno un cambio significativo nell’addestramento delle future generazioni di piloti dell’IAF e dei sistemi d’arma ufficiali, nonché nelle procedure di formazione di tutta l’aviazione”. La consegna dei due velivoli è la prima trance di una commessa di 30 aerei: la vendita si iscrive nell’accordo di cooperazione militare siglato nel 2005 sotto il governo Berlusconi.
Le implicazioni politiche, secondo gli osservatori, sono evidenti: “Noi vendiamo sistemi d’arma a una delle due parti in conflitto, quindi non siamo equidistanti e la nostra posizione come mediatori ne è inficiata”, prosegue Vignarca.
Ma non è tutto. Ai dati certi si aggiungono altre considerazioni: “Abbiamo venduto anche molte armi leggere ai paesi dell’area mediorientale. Nel caso della Siria, come abbiamo denunciato mesi fa, sappiamo che molte di queste armi sono confluite all’interno del paese. Lo stesso possiamo pensarlo per la Palestina. Non abbiamo prove in questo momento, ma in passato le abbiamo avute: le armi leggere hanno una circolazione carsica, sono molto meno controllabili. E finiscono dove c’è richiesta. Come in Iraq, quando i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle beretta”.
Non va dimenticato – conclude Beretta – che l’Italia non solo esporta, ma anche importa armi da Israele, che negli ultimi due anni hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa. La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”. Per queste ragioni la Rete Italiana Disarmo chiede con forza “la sospensione dell’invio di sistemi militari e di armi nella zona. Il nostro Governo, che in questo semestre ha l’incarico di presiedere il Consiglio dell’Unione europea, si faccia subito promotore di un’azione a livello comunitario per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per proteggere i civili inermi e riprendere il dialogo tra tutte le parti”. Secondo loro, inoltre, tutto ciò avviene in aperto contrasto con la nostra legislazione relativa all’export di armamenti, che prevede (proprio nel primo articolo) l’impossibilità di fornire armamenti “a Paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”.
MOVIMENTO 5 STELLE PARLAMENTO EUROPEO.
ANCORA UNA VOLTA DIMOSTRIAMO CHE NOI VOGLIAMO LA VERA GIUSTIZIA, COSA CHE SOLO UNO ONESTO METTE PRIMA DI TUTTO, COSA CHE NON INTERESSA QUANDO UN GOVERNO FATTO DI ASSASSINI E IPOCRITI, E LA SCUSA CHE LA GIUSTIZIA APPESANTIREBBE IL LAVORO DEL SEMESTRE ITALIANO è DA GALERA.
IGNAZIO CORRAO - PORTAVOCE M5S EUROPA
APPREZZIAMO LE IDEE E GLI SFORZI PER MIGLIORARE GLI AIUTI UMANITARI , MA NON SAREBBE IL CASO DI INDIVIDUARE NEI PAESI PIU DISAGIATI, LE CAUSE DEGLI SFRUTTAMENTI E DELLE GUERRE E FAR PAGARE I DIRETTI RESPONSABILI?”
LAPO PISTELLI – VICEMINISTRO ITALIANO DEGLI AFFARI ESTERI
NON E OPPORTUNO SOVRACCARICARE LE INIZIATIVE DELLA PRESIDENZA ITALIANA. QUESTA PRESIDENZA HA AMBIZIONI PIU MODERATE, DIFFICILMENTE SI POSSONO INTRAPRENDERE QUESTO TIPO DI AZIONI. SONO SOLO 6 MESI...”
GRILLINO INCAZZATO – MOLTO INCAZZATO
CERTO NON è MAI OPPORTUNO CERCARE DI FARE COSE CONCRETE SPECIALMENTE SE NON TI PERMETTONO DI FARE IL CRIMINALE. NON SAPEVO CHE IL SINONIMO DI MODERATO FOSSE CODARDO E VIGLIACCO, NON DICEVATE VOI CHE DOVEVAMO LASCIARE IL SEGNO? FORSE INTENDEVATE UNO DI MATITA, COSI QUELLI DOPO POSSONO CANCELLARLO. IL TEMPO SARA SEMPRE POCO SE PRIMA BISOGNA TOGLIERE LA VOSTRA MERDA, VI CAPISCO DATO CHE SONO QUASI 2 ANNI CHE DOVETE RIPERTARE A CASA I 2 MARO, POI ALTRI 2 ANNI CHE MAGARI SE VI FOSTE UNITI AL PROCESSO FORSE SCHITTINO ORA SAREBBE IN GALERO E NON LIBERO A FARE IL DIVO, MENTRE VOI FATE LE FINTE LACRIME VERSO LE VITTIME.”
ALLORA DOMANDO AI VOTANTI PIDINI QUANDO è IL TEMPO DI CERCARE E INCARCERARE QUELLI CHE CREANO QUESTE CARNEFICINE?

TANTO TRA UN PO SAREMO COMMISSARIATI E RENZI SARA FELICE NOI UN PO MENO.

Concordia, De Falco trasferito in un ufficio: “Noi tenuti ai margini, potrei lasciare”

Il comandante, famoso per la telefonata con il capitano Schettino la notte del naufragio ("Vada a bordo cazzo"), dovrà lasciare il settore operativo della Capitaneria di Livorno: "Io punito e lui in cattedra". Lo sfogo: "La mia sezione mai invitata a ricorrenze e celebrazioni"
Dal settore operativo della capitaneria di Livorno ad un ufficio. Il capitano di fregata Gregorio De Falco è stato rimosso dal suo incarico. “Sono molto amareggiato. Questo è mobbing“, ha commentato a il Corriere della Sera. Divenuto famoso per la telefonata con il comandante Schettino in cui gli intimò di tornare a bordo della nave Costa Concordia che stava affondando (“Salga a bordo cazzo”), dopo dieci anni termina l’incarico nel settore operativo: a fine settembre infatti sarà trasferito in altri uffici, sempre della Direzione marittima di Livorno. Il parlamentare PdFederico Gelli ha annunciato un’interrogazione al ministroMaurizio Lupi per sapere la ragione di questa scelta. Dura la reazione del comandante: “Io punito”, ha detto a Repubblica, “e Schettino in cattedra. Questo Paese è storto, privo di riferimenti corretti”. E il riferimento è all’intervento dell’ex comandante all’Università La Sapienza di Roma del luglio scorso.
Il trasferimento dell’ufficiale ha smosso interrogazioni parlamentari e dichiarazioni politiche, dopo le quali De Falco è tornato alla carica:“Le interrogazioni parlamentari che mi sostengono sono per me inaspettate, ma vanno nella giusta direzione di fare chiarezza su questa vicenda”, ha detto all’Ansa. “Quello che mi è capitato mi amareggia ed è l’ultimo tassello di un percorso che parte da lontano – aggiunge – e che riguarda tutta la sezione operativa che dopo la notte della Concordia è stata tenuta costantemente ai margini di qualunque ricorrenza o celebrazione“.
De Falco non lo dice esplicitamente perché “nella mia posizione non servono le deduzioni o dubbi, ma fatti e certezze”, ma il riferimento potrebbe essere a cerimonie come la consegna della medaglia d’oro al Giglio o alle manovre di rimozione del relitto, organizzate con gran dispiego di autorità ma senza di lui e i suoi uomini. “In questo momento difficile – conclude – sto valutando tutto. Compreso abbandonare le stellette anche se per me sarebbe un fallimento di vita. Del resto, a 50 anni non capisco perché si toglie un ufficiale con la mia esperienza dai ruoli operativi per destinarlo a un altro incarico. Era così necessario per una figura come la mia un ulteriore iter formativo?”
Ai tempi del naufragio della Costa Concordia, De Falco era a capo della sezione operativa e dallo scorso anno aveva assunto l’incarico di caposervizio operazioni della Direzione Marittima di Livorno. “Proprio nelle scorse ore ho avuto notizia dal comandante Faraone che lascio il servizio operazioni e vengo destinato ad un ufficio di carattere amministrativo. Sono abbastanza amareggiato, perché da dieci anni la mia ragione professionale è l’operativa, ma sono un militare”, ha detto lo stesso De Falco, commentando il suo trasferimento ai microfoni dell’emittente toscana Granducato Tv a margine della conferenza stampa di presentazione a Livorno dell’esercitazione di protezione civile Liburnia 2014.
Il parlamentare Pd Gelli ha depositato un’interrogazione in Parlamento: “Il ministero dei Trasporti chiarisca la vicenda della rimozione del comandante Gregorio De Falco dal settore operativo della Capitaneria di Livorno e il suo trasferimento ad un ufficio amministrativo. Nel pieno del processo sul naufragio della Costa Concordia, è opportuno chiarire se ci siano motivazioni particolari dietro questa scelta”. “De Falco ha gestito in prima persona – ha spiegato Gelli – nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012 le fasi cruciali dei soccorsi dopo il naufragio della nave all’Isola del Giglio ed ha ricevuto per questo anche l’encomio solenne della Marina Militare. Sui mezzi di informazione di tutto il mondo è diventato il simbolo dell’Italia che prova a dare un’immagine diversa rispetto a un disastro del genere. Questa rimozione, per la quale il comandante si sarebbe detto amareggiato, merita gli opportuni chiarimenti pubblici, anche per fugare eventuali sospetti che la possano collegare allo svolgimento del processo di Grosseto”.

De Falco e quell’abbraccio “scomodo” ai familiari delle vittime del Moby Prince

Perché è stato trasferito? "Mi dispiace davvero, è opportuno che non parli più" ribadisce con tono fermo ma cordiale il capitano. Per l'ammiraglio, che ha firmato il provvedimento, si è trattato di un normale "avvicendamento", ma c'è chi ipotizza che il marinaio eroe della notte del naufragio sia diventato bersaglio di invidie
“Ho già detto tutto quello che c’era da dire, sono ancora molto amareggiato. I motivi del trasferimento? Guardi, a questo punto è più opportuno interpellare le mie gerarchie, è a loro che dovete rivolgere le domande. Per quanto mi riguarda sto valutando tutte le strade da intraprendere per eventualmente tutelare i miei diritti di cittadino militare”. È quanto ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it il capitano Gregorio De Falco, raggiunto telefonicamente nel pomeriggio per chiedere spiegazioni sul “caso”, che lo ha investito. Perché è stato trasferito? “Mi dispiace davvero, è opportuno che non parli più” ribadisce con tono fermo ma cordiale il capitano. Prima di salutarci si lascia scappare: “Il mio lavoro? Un onore vestire questa divisa“.
Davvero il trasferimento è legato soltanto al “normale iter di carriera di un ufficiale”, come ha dichiarato l’ammiraglio della Capitaneria di porto di Livorno Arturo Faraone? La reazione fortemente polemica di De Falco fa sorgere qualche dubbio: c’è infatti chi sostiene che i rapporti con i vertici della Capitaneria siano tesi da tempo. Il capitano ha anche affermato che da tempo sia finita nel mirino “tutta la sezione operativa che dopo la notte della Concordia è stata tenuta costantemente ai margini di qualunque ricorrenza o celebrazione” (parole che sembrerebbero rimandare alla cerimonia di consegna delle medaglie d’oro all’Isola del Giglio). Ai taccuini di Repubblica il capitano ha ipotizzato un legame fra il suo trasferimento e quanto avvenne quella maledetta notte all’Isola del Giglio: “Penso di sì, mi sono fatto questa idea: che ci possa essere un collegamento col lavoro che ho fatto per il soccorso e forse nelle indagini”. Qualcuno si spinge a ipotizzare che i vertici del corpo non abbiano affatto gradito l'”abbraccio” di De Falco ai familiari delle 140 vittime del Moby Prince.
Il Corriere della Sera ricorda invece la “relazione negativa firmata a luglio sulla sicurezza a bordo del nuovo rigassificatore costruito a Livorno e la non convocazione alla seconda ispezione”, oppure lo stop alle navi da crociera di ormeggiare nell’area protetta di Portofino “in contrasto con il comandante della Capitaneria di Genova Marco Brusco, poi comandante generale del corpo durante la sciagura della Concordia”. Nel mirino sembra finire indirettamente soprattutto l’ammiraglio Ilarione Dell’Anna, firmatario del trasferimento. Il motivo? Dell’Anna, attuale “capo 1° Reparto personale” presso il Comando generale delle Capitanerie di porto a Roma, era alla guida della Capitaneria di porto di Livorno quando accadde la sciagura della Concordia. Sciagura che “regalò” una notorietà planetaria a De Falco lasciando – secondo alcuni – in “ombra” Dell’Anna: trasferimento del capitano “eroe” verrebbe perciò inteso come una sorta di “vendetta”.
Ma è davvero così? L’abbiamo chiesto direttamente a Dell’Anna. L’ammiraglio ha voluto precisare una serie di cose: “Ho firmato io il provvedimento, è vero, anche perché – si mette a ridere – questo è il mio mestiere! Di provvedimenti del genere ne firmo a centinaia”. Una firma avvenuta – specifica – “in completo accordo” con la Capitaneria di porto di Livorno. De Falco è stato “rimosso” e “penalizzato”? “Niente di tutto questo – controbatte il militare 63enne – il capitano è stato tecnicamente oggetto di unavvicendamento. Nel nostro settore è una cosa fisiologica, niente di strano. E poi nel cambio d’incarichi non c’è alcuna penalizzazione: non esiste l’inamovibilità“. Dell’Anna ricorda che De Falco è un ufficiale “in ruoli normali”, quindi “deve maturare professionalità e esperienza per fare ulteriori salti”. Il comportamento di De Falco nella notte della tragedia non è sufficiente a fargli ottenere un salto di grado? “Le promozioni non avvengono come nei film”. L’ammiraglio ci tiene inoltre a sottolineare che De Falco “resta a Livorno, non c’è stato alcun trasferimento di migliaia di chilometri”. Cosa risponde a chi sostiene che De Falco le avrebbe “pestato i piedi”? “Rispondo con un’altra domanda: secondo voi – chiede Dell’Anna – è possibile che un ufficiale così giovane possa fare ‘ombra’ a un militare con così tanti anni d’esperienza?”. E se De Falco dovesse davvero lasciare? “Non faremo di certo salti di gioia”.

CONCORDIA: SCHETTINO LIBERO PER IL PD.

Elezioni 2014: se pure il ‘comandante’ Schettino scende in campo


Maurizio Di Fazio
Giornalista e autore


Processo Costa Concordia, l'udienza di Lunedì 12 MaggioCom’è dolce naufragar in quest’atroce mare elettorale. Era nell’aria, a poppa, a prua, e nella pancia sub-politica del Paese. Pronta a spostarsi sempre da qualche altra parte. Pronta a scappare, per salvarsi la pelle, il portafogli, o un’ultima egocentrica illusione. Mai per lavarsi la coscienza sporca.
Quel che deve accadere, accade. E pazienza se Conrad e Melville, laggiù nel fondo paradisiaco dei mari, staranno gridando tutto il loro orrore.
Scende in campo, si butta a peso vivo nella scialuppa di salvataggio della politica pure il “comandante” Francesco Schettino: un uomo, un inchino.
L’ex timoniere massimo della Costa Concordia, che due anni fa naufragò in circostanze assurde non al largo ma a poche centinaia di metri dal porto dell’Isola del Giglio, e ben 32 furono i morti, comincia a studiare da statista.
E nessuno si stupisce per davvero, in questa penisola che troppe ne ha viste, culla del tragico sempre un po’ venato di comico, e viceversa.
L’imputato numero uno del Titanic all’italiana, a piede libero, anzi, liberissimo ha partecipato a un incontro pubblico nella sua Meta di Sorrento per caldeggiare l’elezione a sindaco del suo amicoGiuseppe Tito. All’appuntamento elettorale erano presenti anche il viceministro Filippo Bubbico e l’onorevole Massimo Paolucci, candidato Pd alle Europee.
Perché sì, Francesco Schettino (spavaldo come al solito, petto villoso, capello bisunto, Ray-Ban d’ordinanza, occhi verde-nulla geneticamente dimentichi di ogni abisso, bigiotteria debordante modello apolitici fine anni settanta, perversione vivente di un canone nazionale codificato già in secoli lontanissimi, da Guicciardini a Machiavelli), senza bisogno di leggere nessuna carta di navigazione politica (e il suo fiuto, si sa, è a prova di scoglio), ora starebbe guardando al partito democratico.
Il suo endorsement ha fatto rumore su Twitter. Almeno quello.
Schettino si è lamentato. “È triste assistere a continue strumentalizzazioni, dove un attestato di stima nei confronti di un amico, scevro da finalità e compagini politiche, è utilizzato a fini elettorali”.
Ma nei vocaboli e nella retorica stessa del suo lamento, si ha laconferma lapalissiana del suo imminente impegno in politica. Il politichese già lo padroneggia benissimo.
Il “comandante” ha inviato una lettera aperta di sostegno al candidato Tito: “E’ sempre stato a disposizione degli altri e della comunità, e non il contrario – scrive fieramente dal suo pulpito Schettino -. Un politico al quale non si è mai assottigliato l’entusiasmo di sentirsi utile”.
“Siamo vicini di casa, ci lega una stima reciproca” dice il candidato Tito del “comandante” Schettino.
“L’entusiasmo di Tito è contagioso, mette di buon umore, è indice di vitalità e sono sicuro che si possa assistere a un miglioramento della qualità della vita e dei servizi offerti, una meta da raggiungere per la nostra Meta di Sorrento” scrive ancora il “comandante” del candidato.
“E’ un eroe, lasciatelo in pace” disse un giorno il candidato del “comandante”.
Anzi lasciamolo darsi alla politica in pace, al “comandante” Francesco Schettino. E magari affidiamogli pure, un giorno, il comando del governo. Fa’ che proprio lui indovini la rotta giusta per l’Italia. Tanto di navi che (lentamente) affondano se ne intende.

Amministrative 2014, a Meta di Sorrento vince Giuseppe Tito, candidato sponsorizzato Schettino

Amministrative 2014, a Meta di Sorrento vince Giuseppe Tito, candidato sponsorizzato Schettino

All'esordio del voto l'ex comandante della Costa Concordia aveva fatto un appello a votare l'amico che all'indomani dell'incidente all'Isola del Giglio lo aveva definito "un eroe". Diventa primo cittadino per 100 voti


A Meta di Sorrento, il paese di Francesco Schettino, vince il candidato sindaco sponsorizzato dal comandante della Costa Concordia e del naufragio sull’Isola del Giglio. Con appena 100 voti circa di vantaggio trionfa a sorpresa Giuseppe Tito, esponente storico del Pd, buon amico del consigliere regionale democratAntonio Amato, animatore di iniziative elettorali con la partecipazione del sottosegretario Pd Filippo Bubbico e del neo europarlamentare Pd Massimo Paolucci.
E proprio a uno di questi appuntamenti – ironia della sorte, sulla sicurezza dei trasporti – si è palesato anche Schettino: in buona forma, abbronzato, sorridente, fotografato a stringere la mano a Tito e a Bubbico. I cronisti di buona memoria hanno ricordato una dichiarazione di Tito pochi giorni dopo il naufragio della Concordia: “Schettino? Un eroe, ha salvato centinaia di vite”.
I due sono amici e si stimano. Così un blog, Politica in Penisola del giornalista Vincenzo Califano, ha pubblicato in esclusiva l’appello di Schettino a votare Tito. “In Tito non si è mai assottigliato l’entusiasmo di sentirsi utile, lo ricordo sempre presente, dove la sola gratificazione è stata l’elemento trainante della sua irrefrenabile attività del sapersi mettere a disposizione degli altri. Un giovane al servizio della comunità, e non il contrario, un concetto pratico da lui sempre applicato con entusiasmo, che dovrebbe prescindere da ogni colorazione politica e trovare puntuale riscontro nei ricordi di chiunque con onestà rivolge un pensiero al passato. Colgo l’occasione per esprimere a tutti i Metesi indistintamente la mia sincera gratitudine per l’affetto dimostratomi in questi due anni, allo stesso modo non posso esimermi dal sottolineare le doti umane, che ho avuto modo di riscontrare personalmente in Giuseppe Tito”.
La notizia, ripresa da ‘Il Fatto Quotidiano’, ha fatto il giro del mondo. Bubbico ha preso le distanze: “Non l’avevo riconosciuto, chiedo scusa alle famiglie delle 32 vittime”. Tito, sollecitato dai vertici nazionali del Pd, ha dovuto pronunciare una pubblica dichiarazione di ‘disconoscimento’ dell’appoggio di Schettino. Ma chi risiede qui sa che è stato solo un gioco delle parti. E chissà, forse proprio l’appello del comandante della Concordia ha scavato quelle poche decine di voti che hanno regalato la vittoria a Tito. Perché Schettino a Meta di Sorrento è ancora benvoluto, amato e protetto dalla comunità locale. Che forse non lo considera un eroe, ma non lo ha mai abbandonato.

Ma quant'è credibile un Paese che fa parlare Schettino all'Università? ( e lo lascia libero e tranquillo)...

Ci mancava solo il «prof.» Schettino. O, più precisamente, il «testimone»: non in un’aula di tribunale, ma chiamato, in quanto «esperto», a parlare all’interno di un master di Scienze criminologiche dell’Università La Sapienza diretto da Vincenzo Mastronardi. Che si è giustificato mediante delle «scuse patetiche», afferma l’infuriata nota ufficiale del rettore dell’ateneo romano, e ha innescato col suo invito una querelle esplosiva.
È l’ultima puntata di una «saga» avvilente e desolante.
Dunque, pur con tutti i distinguo del caso – il «comandante» non è stato ancora condannato in via definitiva; non si è trattato di una lectio magistralis (e, per l’appunto, maestro «de che»?, verrebbe, tristemente, da commentare); inoltre l’incontro seminariale si è svolto in una sede non appartenente all’università (bensì, ma qui si apre un altro fronte, e un ulteriore problema, all’Aeronautica militare) – la vicenda resta estremamente discutibile. Anzi, assai grave. Per giunta, come se il tutto non fosse già abbastanza surreale (ma la realtà di questo nostro Paese ci ha ormai abituati al superamento di ogni più sfrenata fantasia), come da programma del seminario (aperto non a caso a tutti), l’intervento di Francesco Schettino verteva sulla «gestione del controllo del panico» (sic!); già, proprio lui, quello a cui rimarranno verosimilmente sempre appiccicate, come una vile etichetta grottesca, le urla (sue) «Madonna ch’aggio combinate» e quelle, di rimando, dell’ufficiale Gregorio De Falco «Torni subito a bordo, c…!».
Naturalmente ci sarà qualche «cattivista» pronto a sostenere che il «povero» capitano Schettino rappresenta ormai un capro espiatorio, se non il bersaglio di qualche malintesa forma di cattiva coscienza nazionale. E che anche questo episodio della sua partecipazione al master organizzato dallo psichiatra Mastronardi (che ha fatto insorgere anche il ministro dell’Istruzione e il procuratore capo di Grosseto) sia stato «ingigantito» e artefatto da quell’universo dei social network – motori della campagna di (sacrosanta) indignazione – nel quale, a volte, si rischia di perdere un po’ il contorno e la consapevolezza dell’esattezza dei fatti. Ma il punto è che stiamo discutendo – oltre che del dolore dei familiari delle vittime del naufragio della Concordia – proprio del piano dell’immaginario e della dimensione simbolica. A cui peraltro, giustappunto, data la sua marcata propensione social – tra recentissime feste biancovestito a Ischia in qualità di «ospite d’onore» e voci (poi smentite) su una candidatura (o auto-candidatura) al reality show l’Isola dei famosi – il sig. Schettino risulta alquanto sensibile. Ecco perché non si vede alcuna ragione per la quale questa sua inclinazione presenzialista debba venire assecondata, quando invece – e in attesa che la giustizia completi il suo iter – farebbe decisamente meglio a starsene in silenzio e a meditare sulle proprie responsabilità in una vicenda che ha fatto scatenare i detrattori del nostro Paese all’estero (e tutti sappiamo quanto delicata sia, per mille ragioni, la questione della nostra credibilità internazionale).
Sempre che qualcuno non confonda la libertà accademica con la rivendicazione spasmodica del warholiano quarto d’ora di celebrità. Di cui, in negativo (di più, in maniera tragica), si rivela manifestazione proprio questa famelica e instancabile famosità del «comandante» (a proposito, il grado è destinato a rimanere per la vita, oppure non meriterebbe anch’esso un’approfondita riflessione?). Capitano, sì, ma di quella egemonia sottoculturale che, malauguratamente, non conosce mai ritirate, né vacanze…

Isola dei Famosi: anche Francesco Schettino nel cast? Arriva la smentita

La notizia su una possibile partecipazione di Francesco Schettino al reality L’Isola dei Famosi 10, come diffuso dal settimanale Di Più, è stata prontamente smentita in modo ufficiale: ecco le parole del suo legale.
Stiamo valutando la possibilità di avviare un’iniziativa legale nei confronti di un noto settimanale (e del suo direttore) che ha, arbitrariamente e senza alcun fondamento, pubblicato con grande enfasi la notizia di una probabile partecipazione al reality “L’Isola dei Famosi”. Chiediamo, altresì, che la privacy del comandante Schettino venga pienamente rispettata.
Francesco Schettino, l’ex comandante della Costa Concordia, la nave da crociera naufragata tragicamente nel gennaio del 2012 e che ha causato la morte di oltre 30 persone torna a far parlare di sé. In realtà proprio qualche giorno fa, in occasione dell’ultima traversata della Concordia fino al porto di Genova aveva fatto discutere in seguito ad alcune sue dichiarazioni nel corso delle quali, tra un party ed un’ospitata prontamente paparazzata aveva elogiato la sua decisione di “lasciarla adagiare (la Costa Concordia, ndB) sul basso fondale anziché correre il rischio che potesse inabissarsi al largo”.
Ma perché ora si parla di Schettino in riferimento al piccolo schermo?
L’indiscrezione che stiamo per darvi proviene dal settimanale Di Più ed è da prendere con le pinze più di ogni altro gossip del momento: secondo il settimanale Francesco Schettino potrebbe essere uno dei protagonisti della prossima edizione del reality show L’Isola dei Famosi targato Mediaset. Si tratta solo di una bufala o realmente ci sarebbero i presupposti affinché l’ex comandante della Concordia possa approdare sul piccolo schermo come discusso protagonista del reality giunto alla sua decima edizione?

Ovviamente noi ci auguriamo che l’indiscrezione riportata dal settimanale sia solo una voce infondata se non altro per le critiche che lo stesso programma, che sarà rilanciato proprio dall’ammiraglia Mediaset, potrebbe ricevere nonostante per la stessa rete del Biscione potrebbe rappresentare comunque una bella mossa per far parlare dell’Isola dopo oltre due anni di assenza.

Schettino, scintille in aula con De Falco
"Telefonata sprezzante e provocatoria"

Al Teatro Moderno testimonia l'ufficiale della Capitaneria di porto di Livorno che la notte del 13 gennaio 2012 esortò il comandante a risalire sulla nave "Ci dissero della falla solo dopo molti contatti". Insieme per la prima volta nel tribunale dove fanno risentire la telefonata del "Torni a bordo, c..."
Grosseto - Si sono incontrati per la prima volta dentro l'aula del tribunale di Grosseto. Il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino e il comandante della Capitaneria di Livorno Gregorio De Falco. I loro sguardi sono rimasti però distanti, uno seduto sul banco degli imputati l'altro sul palco accanto ai giudici, come testimone. Due mondi lontanissimi e inconciliabili. De Falco si presenta con una valigetta marrone lucidata, la appoggia sul tavolo e tira fuori fogli e relazioni. "Posso consultare questi per essere più preciso?" dirà ogni tanto quando pensa che la memoria possa tradire una risposta meno puntuale del solito. I giudici acconsentono e comincia così la ricostruzione della notte del 13 gennaio 2012 visti con gli occhi dell'uomo che da Livorno strapazzava con veemenza il capitano Schettino: "Torni a bordo, cazzo" e quell'altro che probabilmente sotto shock per il disastro combinato, balbettava risposte quasi in uno stato confusionale. 
De Falco ha resto la testimonianza che i pm si aspettavano: lucida, precisa nella ricostruzione degli orari e delle telefonate di quella notte. Il piglio deciso che l'Italia aveva già imparato a conoscere da quel celebre ordine impartito nei momenti tragici del naufragio: "Torni a bordo, comandante io le ordino di tornare a bordo. Ha capito?". Quando risente l'audio della conversazione Francesco Schettino abbassa lo sguardo agitando un foglio scritto che tiene in mano.  In aula sono state fatte ascoltare le numerose chiamate fra Capitaneria e nave, in un crescendo di tensione e preoccupazione.
A sera, in chiusura dell'udienza, Schettino decide di fare una dichiarazione spontanea ed è un attacco diretto a De Falco: "Nella telefonata che oserei definire tristemente famosa, ho cercato di stabilire in tutti i modi un dialogo propositivo e collaborativo col comandante De Falco privilegiando la sostanza della comunicazione ma notavo, meravigliandomi, la perdita dell'autocontrollo". Insomma Schettino reagisce: "De Falco mi diceva richieste impossibili da realizzare" e "dava ordini perentori espressi con tono sprezzante" ha detto Schettino leggendo un testo. Comunque "ero disponibile a interpretare le sue richieste" e "pronto ad essere utile e non cadere in quelle che ho considerato essere inutili provocazioni in quella situazione drammatica mentre lui stava a 140 km di distanza". E conclude: "La telefonata stessa non ha cambiato il corso degli eventi, non ha fatto altro che diventare un simbolo negativo per il comandante della Costa Concordia, per le capitanerie di porto e per l'Italia intera", ha concluso Schettino. 
L'audio De Falco-Schettino, "Torni a bordo, c....!"
Di tutt'altro tenore la testimonianza di De Falco: "Mentre dalla nave ci davano rassicurazioni sulla situazione a bordo, i carabinieri di Prato ci avevano avvisato della telefonata di una parente di una passeggera secondo cui la nave era al buio, erano stati fatti indossare i giubbotti di salvataggio, erano caduti oggetti e suppellettili - dice De Falco sul banco dei testimoni -  circostanze non coerenti con quanto dichiarato dalla nave".  "Questo ci fece pensare che la situazione era più grave" e "nessuno dalla Concordia aveva ancora chiamato per chiedere soccorso".
Nei primi contatti via radio, poco dopo le 22, la Costa Concordia aveva detto alla capitaneria di avere un black out e che sarebbe rimasta al Giglio per verificare l'avaria. Ma nessuno allora parlò di falla.
De Falco ha raggiunto in mattinata l'aula di tribunale ricavata nel Teatro Moderno di Grosseto, è stato fatto accomodare nella saletta per i testimoni ed è salito sul banco dei testimoni verso le 12.30.  Il processo era ripreso con la testimonianza dell'ammiraglio Ilarione Dell'Anna, che all'epoca era a capo della Direzione marittima di Livorno. Dalla Costa Concordia ammisero la falla solo venendo contattati più volte da terra, in particolare dalla capitaneria di Livorno, spiega De Falco ricordando che "alle 22.38 (l'urto è delle 21.45, ndr) la nave dà il segnale di distress. Chiamo io la nave perchè non convince la situazione di apparente tranquillità che loro dichiaravano. A seguito di questo ammettono che c'è una falla e non un semplice black out, così possiamo inviare motovedette ed elicotteri" di soccorso. Con De Falco la procura ha fatto ascoltare gli audio di quella notte. 
In una telefonata fatta ascoltare in aula De Falco chiede a Schettino quanti passeggeri ci sono ancora a bordo della nave. E Schettino: "Non lo so, mi trovo sulla lancia, credo massimo una decina di persone sull'altro lato". Ma alla capitaneria  risultavano almeno in in quella fase almeno 2-300 persone ancora a bordo. Sono mezzanotte e 28. Ancora De Falco: "Quanti coordinano lo sbarco? Lei dove si trova?". E Schettino: "La nave è giù a 90 gradi, sono su una scialuppa tra la nave e terra". "Comandante: quante persone vede in acqua? Ci sono donne, bambini? Quanti sono? Si stanno buttando in acqua?". "A bordo c'è una decina...". "Può verificare questo dato? Voglio i dati". "Io

 chiesi quante persone c'erano a bordo, ha detto oggi De Falco, insistevo ma il comandante non mi sapeva dare le risposte".